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Cattedrale di

San Leucio

Tra storia e Leggenda


La chiesa di San Leucio, ricca di storia, di arte e leggenda è il “cuore pulsante “ della città di Atessa, la sua memoria religiosa, la sua identità.

La leggenda narra che il San Leucio vescovo di Brindisi, di passaggio nella zona di Atessa, abbia ucciso un feroce dragone che dimorava nel vallone di Rio Falco e mieteva vittime umane ed innocenti, ma soprattutto impediva agli abitanti di due borghi, Ate e Tixa, di frequentarsi e riunirsi. L’eliminazione del mostro dà perciò l’avvio al processo di conurbazione dei due abitati, attuali quartieri di San Michele e di Santa Croce e probabili antichi insediamenti longobardi, nel cui nodo di saldatura viene eretto un tempio dedicato al Santo.

Le origini di Atessa, infatti, che compare come castellum nel Chronicon Farfense, sono da riconnettere al sistema di strutture fortificate, promosse dai Longobardi nelle zone collinari interne, a guardia delle valli e dei fiumi. La zona di Atessa, inoltre, si trova al centro di un territorio densamente abitato che, in epoca italica e romana, aveva il suo punto di forza nell’insediamento di Monte Pallano, abitato da tribù di Lucani, il cui toponimo sopravvive nel monastero di Santo Stefano in Lucana (presso Tornareccio), che nei documenti farfensi è citato come Santo Stefano de Athissa, la cui storia si intreccia saldamente con le vicende di Atessa e con quelle, in particolare , della chiesa di San Leucio.

San Leucio, nativo di Alessandria ( II-III sec., secondo una tradizione, IV o V secondo altre fonti più accreditate) e poi evangelizzatore e vescovo di Brindisi, è al centro di una singolare e straordinaria venerazione in molti centri della Puglia, della Campania e dell’Abruzzo-Molise. Le sue ossa sono state contese, trafugate, rubate e riscattate da varie città, ma vengono prodigiosamente ritrovate nell’VIII secolo a Benevento, subito dopo la conversione al cristianesimo dei Longobrdi, duchi e feudatari di questa città. Leucio diventa pertanto, insieme a San Michele, San Sabino, San Teodoro ecc., uno dei santi nazionali del popolo longobardo che lo diffonde e lo veicola nei territori conquistati.

Un documento del 1027ci testimonia una ricca donazione del conte Attone, figlio di Trasmondo di Chieti (conti longobardi) in favore della chiesa di San Leucio, fra cui gran parte dei beni ricevuti in permuta dal preposto di Santo Stefano in Lucana. Altre successive donazioni, permute e lasciti, documentati negli archivi farfensi, avranno sempre al centro come beneficiaria la chiesa di San Leucio., che riceve anche, nel 1117, da papa Alessandro III, la prepositura nullius dioecesis. Il documento che lo attesta è molto controverso ed è stato al centro di plurisecolari lotte e contenziosi con il vescovo di Chieti . La vicenda si risolve e si conclude solo nella prima metà dell’Ottocento con le leggi di soppressione delle prelature nullius dioecesis e con il riconoscimento dell’appartenenza della chiesa di San Leucio alla diocesi di Chieti.

Il culto di San Leucio incontra un altro momento di grande favore e devozione, a cominciare dalla fine del XII sec., con la ripresa della  grande transumanza orizzontale, e si diffonde in altri centri abruzzesi. Tra XIII e XIV sec. anche ad Atessa il culto di San Leucio riceve particolari attenzioni e la stessa chiesa costruita in onore del Santo subisce modifiche, ampliamenti ed interventi decisivi, in gran parte ancora leggibili.

Architettura


Un primitivo tempio edificato in onore di San Leucio doveva presentarsi a forma rettangolare, ad una sola navata, con la facciata orientata ad est. Agli inizi del XIV sec., la chiesa subisce radicali modifiche: il portale di ingresso viene ri-orientato nella posizione attuale e la chiesa, a croce latina, viene arricchita di due navate laterali. All’epoca di tali ristrutturazioni sono sicuramente da ascrivere gli affreschi che anticamente ornavano le pareti dell’abside e forse anche delle navate.

Preziosi elementi medioevali si possono leggere ancora integri sulla monumentale facciata della chiesa, dopo i lavori del 1935 eseguiti dalla Sovrintendenza regionale per ripristinare il probabile primitivo disegno tardo romanico.

La facciata presenta tre splendidi portali ogivali, di cui quello mediano, a strombo, si caratterizza per l’articolata lavorazione. Lo sovrasta uno spettacolare, luminoso e pregiatissimo rosone angioino a ruota, opera del 1312 della scuola del Petrini di Lanciano. Il rosone, ricco di arcate, colonnine radiali, trafori ecc, è protetto da un archivolto sorretto da colonne pensili poggianti su mensole leonine. Sul rosone, in alto, il simbolo dell’agnello divino. In piccole nicchie, poste tra il rosone ed il portale centrale, al di sotto della linea marcapiano, si trovano le nicchie con i simboli dei 4 Evangelisti, due per lato rispetto alla nicchia centrale che racchiude la statua raffigurante San Leucio. Sormontano i portali laterali due oculi.

La facciata romanica, durante la prepositura di mons. Gian Dionisio Maccafani (1750-1782) , nella seconda metà del XVIII secolo, viene restaurata in stile barocco. Sulla sommità del timpano viene inserita una cornice curvilinea che si piega sui capitelli delle lesene laterali, da cui partono due volute che si distendono lungo tutto il cornicione sottostante, inglobando le tre navate. Dalle foto d’epoca si può evincere che le nicchie con i quattro evangelisti risultano simmetriche ai lati del rosone e due grossi finestroni spaziano sui portali laterali, mentre la nicchia con la statua di San Leucio sormonta il portale centrale.

L’interno, che negli interventi del XIV sec. era stato definito in tre navate, nel 1852 si arricchisce di altre due navate, divise da pilastri, ed assume l’assetto definitivo a 5 navate. Oggi, dopo i lunghi interventi di decorazione, abbellimento e rifinitura, che hanno interessato la chiesa dalla fine del XVIII secolo agli inizi del XX secolo, l’interno si presenta interamente rivestito di decori barocchi, dalla policromia discreta e finalizzata a valorizzare e dare slancio all’edificio, molto ampio in larghezza, ma poco profondo in lunghezza, privilegiando i toni del rosso-bruno, dell’oro, del beige e del grigio, tonalità calde e non invasive, ad imitazione delle venature marmoree, senza scadere nella ridondanza tipica dello stile barocco.

Ai lati dell’abside si trovano due cappelle: a destra la cappella del S.S. Sacramento, con la statua del Sacro Cuore di Gesù nella nicchia centrale che sormonta l’altare, mentre nella nicchia della parete laterale a destra è situata la statua di San Martino di Tours, in quella a sinistra la statua della Vergine Immacolata Concezione.

A sinistra dell’abside si trova la cappella di Maria Santissima di Loreto, la cui pregevole statua è custodita nell’edicola che sormonta l’altare, mentre nella parete laterale a destra si trova la nicchia con la statua di San Nicola e nella parete laterale a sinistra quella di Sant’Emidio, compatrono di Atessa.

Le pareti laterali della chiesa sono scandite da una serie di tredici altari in marmo, sormontati da quadri ad olio rappresentanti Santi diversi, spesso riconducibili a devozioni particolari, ex voto o lasciti per grazia ricevuta.

Sulla parete dell’ultima navata a destra sono allineati, in ordine, a partire dall’ingresso: l’altare di Sant’Anna con tela raffigurante la santa, eseguita nel 1854 dal noto artista Francesco Maria De Benedictis di Guardiagrele; l’altare di San Sebastiano sormontato dal quadro che ne rappresenta il martirio; l’altare di San Martino su cui si innalza il dipinto che potrebbe attribuirsi a Donato Teodoro; l’altare di Santa Filomena Vergine e Martire con la tavola che rappresenta la Santa; l’altare del Beato Roberto di Salle con la pittura che raffigura il monaco celestino che in Atessa fondò, nel 1341, sul Colle di San Cristoforo, il convento di Santo Spirito.

Sulla parete dell’ultima navata a sinistra, si possono ammirare nell’ordine, a partire dall’ingresso: l’altare di San Bartolomeo Apostolo su cui si innalza la tela che ne rappresenta il martirio; l’altare di San Giuseppe con il quadro raffigurante San Giuseppe e Gesù Bambino piccolo; l’altare di Santa Lucia con il dipinto che rappresenta la Santa; l’altare di San Michele Arcangelo sormontato dalla tavola dipinta nel 1854 dall’artista Francesco Maria De Benedictis di Guardiagrele; l’altare del S.S. Crocifisso con la teca che racchiude un prezioso crocifisso di scuola napoletana.

Il campanile, probabilmente edificato all’epoca delle trasformazioni del tempio in stile barocco, è stato più volte rimaneggiato. Nell’ultimo intervento, dopo i danni subiti durante la seconda guerra mondiale, è stato arricchito anche di un castello in ferro battuto, opera dell’atessano Umberto Nasuti.

I tesori artistici e culturali


Nella parete contigua al portale laterale di sinistra, nella nicchia che ospitava il fonte battesimale, è stata ricavata una teca espositiva che contiene alcuni preziosi manufatti artistici della chiesa di San Leucio.

Sulle pareti interne è stato riprodotto in scala l’affresco medioevale scoperto nell’abside nel 2003, dopo la rimozione del coro ligneo per sottoporlo a restauro e di nuovo ricoperto con il riposizionamento degli scranni che ne impediscono la vista. Datato tra XIII e XIV secolo, l’affresco, già citato dallo storico Tommaso Bartoletti che ne lamenta la copertura agli inizi del XIX secolo, rappresenta una processione eucaristica con due chierici, uno che solleva il calice con l’Ostia Magna, l’altro che sorregge una torcia ed una campanella. Due piccole nicchie in ottimo stato di conservazione, affrescate con gli arredi della mensa eucaristica e poste simmetricamente ai lati del pannello centrale che un tempo sovrastava l’antico altare, completano il disegno della parete, rivestita con policromi e delicati decori geometrici, su cui corre in alto la scritta interpretabile come “magister cereus reprobabit”. L’iconografia suggerisce che l’affresco potrebbe rappresentare un documento antichissimo e raro del culto del Divin Sacramento, da riconnettere non tanto al miracolo di Bolsena (1264), quanto, plausibilmente, alla presenza basiliana ed al Miracolo Eucaristico di Lanciano. I Basiliani, infatti, esperti nel prosciugare le zone paludose, vengono ritenuti dalla tradizione locale fondatori ad Atessa di un convento e di una chiesa primitiva dedicata a San Leucio, un santo orientale da loro venerato.

Nella teca è esposta una costola fossile di animale, forse un elephas primigenius, catalizzatore del racconto mitico alle origini della chiesa di San Leucio e della città di Atessa. Un reperto che incuriosisce molto ed affascina per le simbologie, i rimandi e le interpretazioni che vi si aggregano intorno. Infatti la liberazione dal malefico “mostro” e dalla sua ferocia ad opera del Santo Vescovo Leucio ha assunto aspetti miracolosi e prodigiosi ed ha costituito, di fatto, la genesi della chiesa di San Leucio e di un’unica città: Atessa. La figura del drago si presta a molteplici interpretazioni: potrebbe rappresentare la proiezione del male, del peccato o della malaria, per la presenza nella zona della tana del mostro di paludi, bonificate dai padri Basiliani, ma potrebbe anche essere simbolo di rinascita, connesso ai cicli cosmici e agrari, o metafora del paganesimo o segno emblematico di memorie luttuose legate a epidemie e catastrofi naturali.

Nella teca si può ammirare l’Ostensorio o Custodia eucaristica del 1418, opera di grande caratura tecnica ed estetica di uno dei più famosi orafi del passato, Nicola da Guardiagrele, come si evince dall’autografia posta alla base del piedistallo. L’opera è’ in argento dorato, lavorato a cesello e bulino, con smalti e lavorazioni in filigrana ed attinge ad una matura sintesi artistica, grazie alle sperimentazioni tecniche, agli stimoli multiculturali di matrice regionale ed extraregionale, alla tensione creativa ed alla sintassi liturgico-teologica.

Per la descrizione si riporta la scheda presente nel volume “Nicola da Guardiagrele. Orafo tra medioevo e Rinascimento. Le opere. I restauri”, pubblicato da Tau Editrice nel 2008 e curato da Sante Guido che, insieme a Giuseppe Mantella ha restaurato l’ostensorio di Atessa: EGO NICOLAUS ANDREE PASQUALIS DE GUARDIA GRELIS FECI(.) HOC OPUS IN ANNO DOMINI MILLESIMO QUATRICENTESIMO DECIMO OCTAVO DIE PRIMO DECEMBRIS (in maiuscola gotica posta alla base del piedistallo, lungo le sei baccellature). Sul profilo della base della preziosa custodia eucaristica si snoda, in caratteri emergenti su smalto champlevé, l’iscrizione attestante l’autografia di Nicola da Guardiagrele e la data di compimento dell’opera, il 1418. Dalla cornice esalobata si dipartono quindi sei grandi baccelli convessi, che si avvolgono a spirale salendo verso il fusto. Ogni porzione alterna una decorazione ad elementi vegetali, intagliati sulla lastra su fondo in smalto blu scuro quasi nero, ad un motivo di rigogliosi girali a rilievo su scabro fondo a sablé. Il fusto composto da un fascio di colonnine è interrotto dall’articolata struttura del nodo:minuscoli contrafforti rampanti delimitano sei edicole, sormontate da cuspidi, pinnacoli e infiniti decori a traforo, all’interno delle quali sono inserite colorate placchette in smalto traslucido. Le figure sacre, poste all’interno delle sei edicole votive, raffigurano l’arcangelo Gabriele e la Vergine Maria, insieme ai quattro Evangelisti. La teoria di immagini, realizzate in smalto traslucido, inizia dal momento in cui la giovane Maria, a capo scoperto, sta ricevendo con stupore e ossequiosa accettazione l’Annuncio della sua prossima maternità. Da questo momento inizia la storia terrena di Cristo, documentata attraverso gli scritti degli Evangelisti. Alla sommità del fusto polistilo un capitello a grandi foglie si apre per sostenere la teca, il tempio vero e proprio, il recinto sacro, che custodisce il mistero della Redenzione. L’esagono, a differenza dell’ottagono, con la sua spinta verso l’alto favorisce il migliore passaggio della luce attraverso le grandi aperture di gusto gotico, consentendo una più agevole visione della figura della Vergine Maria che, inginocchiata, offre a Dio ed agli uomini Cristo suo Figlio nelle sembianze eucaristiche. Il manto di Maria rivestito da smalti applicati con l’innovativa tecnica dell’émail sur ronde bosse, che ripete il modello già presente a Francavilla. L’architettura del tempietto a pianta centrale è sormontata da otto (in realtà 6 n.d.r.) figure di angeli apteri a mezzo tondo, ed una copertura a falde embricate, non traforata, con costolature percorse da gattoni a forma di giglio. I varchi tra le lesene, suddivisi in bifore, sono impreziositi da doppi archetti intrecciati impostati su colonnine tortili e coronati da timpani triangolari, traforati da un rosoncino. Alla sommità della preziosa struttura è posta la figura a tuttotondo dell’Angelus Testamenti, con le grandi ali aperte, originariamente decorate a policromi smalti traslucidi e un mantello classicamente panneggiato sull’esile figura: brandisce la spada con la destra, mentre la sinistra reggeva un oggetto perduto”.

Infine nella teca è esposto il busto d’argento di San Leucio. Informazioni precise vengono fornite dall’iscrizione su targa d’argento, affissa sulla base di legno dorato che sorregge il busto: “Hanc effigiem S. Leucii Patroni Principalis Civitatis Atissae elemosinis a Rm Domino Praeposito et Ordinario D. Marco Antonio Leporini Romae conditam A. D. 1731, quae capite tantum et pectore constabat, absque brachiis, Rmus Dominus F. Antonius Cozzi, Praepositus elemosinis iisdem accrevit e hanc qua conspicitur, spectabiliorem formam redegit. A. D.1857”.

La statua, dunque, viene fatta fondere a Roma dal preposito Leporini, durante il suo secondo periodo di titolarità della prepositura di San Leucio.

Un secondo intervento sul busto, formato in origine solo dal capo e dal petto, viene promosso dal preposito F. Antonio Cozzi che, nel 1857, conferisce l’incarico del lavoro all’argentiere Gabriele Cioffi di Napoli che ne certifica i costi e le aggiunte apportate: le braccia, il pastorale, il piviale e la mitra.

Il busto evidenzia una cifra artistica ed emotiva di grande impatto: il volto del Santo è quello del monaco penitente della Tebaide, nell’atto di benedire con la mano destra, mentre con la sinistra sorregge il pastorale poggiato obliquamente sul piedistallo.

Nella chiesa, oltre i tesori di oreficeria esposti nella teca, si conservano altre preziose testimonianze dell’arte orafa abruzzese o provenienti da Roma e da Napoli, tra cui calici, croci, reliquari, turiboli, navicelle, cartegloria, secchielli, pissidi, piatti, candelieri ed altri oggetti utilizzati nel servizio liturgico in ottone o in argento cesellato, sbalzato o inciso.

Notevole il calice appartenuto al prevosto Gian Dionisio Maccafani in argento fuso, cesellato, inciso, dorato, opera di bottega romana, datata 1784.

Pregevole la Croce capitolare del XIV secolo, in argento dorato e lavorato a cesello, ma il cattivo stato di conservazione suggerisce la necessità di un restauro accurato per riportare il manufatto all’antico splendore e studiarne le tecniche di produzione e la provenienza.

Lungo la seconda navata a sinistra sono esposti manufatti di notevole cifra artistica e culturale:

La statua lignea di San Leucio, restaurata nel 2020 a cura del club Inner Wheel di Atessa-Media Val di Sangro, e in precedenza conservata nella chiesa di San Domenico.

La statua, databile al XIV sec., si inserisce nel novero delle sculture lignee che contrassegnano le produzioni abruzzesi in un periodo in cui l’Abruzzo, per la sua posizione geografica, rappresentava un crocevia di influssi e di contatti, di culture e di stilemi artistici veicolati lungo la via degli Abruzzi che univa Firenze a Napoli e lungo le arterie tratturali.

La statua, scolpita su un blocco di legno di pioppo, incavato sul retro, ma chiuso da una tavola, aggiunta posticcia del XV-XVI secolo, è stata sottoposta ad un lungo e meticoloso lavoro di restauro che ha restituito lo splendore della cromia originale, in gran parte conservata nell’incarnato bruno del volto, nei capelli e nella barba scura, nel rosso delle vesti e nell’oro dei fregi decorativi. L’impatto estetico ed emotivo è sorprendente, nonostante le lacune cromatiche e le parti mancanti che, per scelta metodologica, non sono state aggiunte od integrate.

La statua in terracotta modellata che un tempo, come documentano le antiche foto, era situata sulla facciata, in alto sulla cornice curvilinea dei rimaneggiamenti barocchi, rappresenta un santo vecchio con tunica e mantello drappeggiato sulle ginocchia, in atto di severa meditazione. Interpretata come San Giuseppe, la statua viene datata dai critici al XVI secolo e ricondotta ad influenze artistiche di matrice toscana per la plasticità e l’eleganza dei movimenti. Necessita di un attento e mirato restauro, per rimuovere la coltre di polvere, muffa, parassiti ecc. accumulata nel tempo durante l’esposizione esterna.

In due teche sono esposti due preziosi libri corali, testimonianza della fase medioevale del tempio e delle ricche committenze dell’epoca.

Un volume è classificato come Antifonario ed è datato al secondo quarto del XIV secolo. Contiene il Santorale, con testi inerenti alle parti cantate delle celebrazioni per la Vergine ed i Santi che si svolgono durante l’anno liturgico. Sono presenti segni particolari annotati tra le righe per segnare l’andamento della melodia, prima ritmata dal direttore del coro. Il codice, ricco di manierismi gotici, presenta 41 lettere iniziali decorate con prevalenti motivi fitomorfici e si avvicina stilisticamente ai corali di Santa Maria Maggiore di Guardiagrele.

L’altro volume è classificato come Graduale ed è datato al terzo-ultimo quarto del XIV secolo. E’ molto elegante, ma mutilo e nelle parti superstiti presenta lettere iniziali filigranate e decorate . Si possono ammirare tre grandi lettere istoriate: una P con rappresentazione della Natività; una V con rappresentazione dell’Ascensione e una S con rappresentazione della Pentecoste. Il Graduale deriva il nome dal latino gradus, gradino, perché i cantori eseguivano i canti posizionandosi in altezza decrescente sui gradini dell’ambone.

Fra i tanti pregevoli manufatti artistici un posto di grande rilievo occupano le opere in legno di noce scolpite e decorate, restaurate e riposizionate nella chiesa di San Leucio nel giugno 2005. Si possono così ammirare la dignitosa cattedra prepositurale, il solenne e raffinatissimo pulpito ed il maestoso coro ligneo, ovvero 20 scranni con al centro un grandioso trono che presentano un’esplosione di intagli , colonne, braccioli, teste d’angelo e motivi fitomorfici, scolpiti nel legno di noce nel 1769 dal maestro intagliatore Giuseppantonio Mascio e dai suoi familiari, originari di Caramanico e titolari di una affermata bottega artigiana in Atessa. Le opere furono promosse dal Prevosto dell’epoca, mons. Gian Dionisio Maccafani, quando la chiesa di San Leucio viene rimaneggiata nelle forme architettoniche di stile barocco. Fino a quel periodo la chiesa aveva conservato le caratteristiche tardo -romaniche, compresi gli affreschi medioevali originali , alcuni pannelli dei quali furono “coperti” con l’installazione del coro ligneo. Restaurati, filmati e fotografati, gli affreschi, rappresentanti una processione eucaristica con evidenziazione dell’Ostia Magna, sono stati ancora una volta ricoperti dal riposizionamento dei seggi del coro, nè si è trovata una soluzione idonea a rendere fruibili ambedue le opere che, a livelli diversi, rappresentano due straordinarie testimonianze storico-artistiche della storia della chiesa di San Leucio e della città di Atessa .

Nella chiesa è presente un organo monumentale , realizzato con i danni di guerra dalla ditta Inzoli di Crema nel 1967 e restaurato nel 2000/2001 ad opera del maestro organaro Antonio Di Renzo di Pescara.

Il tesoro della chiesa di San Leucio è costituito anche da un ingente patrimonio archivistico: una quantità di pergamene, documenti, lettere, manoscritti, atti, bolle, relazioni, verbali, libri contabili, note di vario genere, che forniscono una miriade di dati sulla “spiritualità” degli abitanti della città, sullo svolgimento della vita religiosa, sui regimi demografici, sugli ecclesiastici, sulla vita sociale, sui beni e benefici posseduti, sulle cause e sui contenziosi .

Infine, statue, arredi, candelabri, quadri ed un ricco corredo di paramenti, tovaglie ecc., tutti finemente lavorati con preziosi ricami, merletti, pizzi, tomboli ecc. completano il patrimonio della chiesa di San Leucio, frutto della devozione degli Atessani e delle buone scelte amministrative del clero.

Nella chiesa avevano sede nel passato: la Fraternita di San Leucio, fondata prima del 1313; la Compagnia della S.S. Concezione, fondata prima del 1668, comprendente giovani di ambo i sessi; la Confraternita del S.S.Sacramento del 1576 ed il Monte dei Morti, istituito nel 1668.

Questi due ultimi sodalizi furono poi riuniti nella Confraternita del S.S.Sacramento e Monte dei Morti che affianca ancora oggi attivamente il parroco nelle cerimonie liturgiche, nelle processioni e nei riti. Essa si distingue per le opere pie, per il sostegno economico nella gestione della chiesa ed anche per gli interventi di restauro, di tutela e di valorizzazione del ricco patrimonio artistico. Nel passato provvedeva anche al maritaggio delle giovani orfane e distribuiva viveri per gli infermi appartenenti a famiglie bisognose.

Gli Altari

Partendo dal lato destro


  1. Altare di Sant’Anna
    Tavola in olio su tela “Educazione di Maria Vergine” di Francesco Maria De Benedictis di Guardiagrele del 1854.
  2. Altare di San Sebastiano
    Quadro olio su tela di autore ignoto ( Ex dev. Annæ Tersiæ de Vincentiis 1854), ma eseguito da maestranze di probabile scuola abruzzese.
  3. Altare di San Martino
    Dipinto olio su tela di epoca ed autore ignoti. La cifra artistica , la cromia ed altri elementi di riferimento suggeriscono una probabile attribuzione a Donato Teodoro, seconda metà del XVIII secolo.
  4. Altare di Santa Filomena
    Quadro olio su tela di epoca ed autore ignoti , ma di probabile scuola abruzzese del XIX secolo.
    (DNȖS ALOISIUS ROSSI PRO VOTO MATRIS VICTORIÆ).
  5. Altare del Beato Roberto da Salle
    Quadro raffigurante il beato, monaco della Congregazione dei Celestini dell’Ordine di San Benedetto; fondò in Atessa nel 1341 il Convento di Santo Spirito, ai piedi del colle S. Cristoforo.
    Olio su tela di autore ignoto, ma da riferirsi a manifattura abruzzese del XIX secolo.
  6. Cappella del Santissimo Sacramento
    Altare in marmo costruito nel 1902. Al centro statua in cartapesta del Sacro Cuore di Gesù di Luigi Guacci, Lecce 1910; a destra statua in cartapesta di San Martino di Tours; a sinistra statua in legno, vestita, della Vergine Immacolata (A.D. D’ NICOLA GALLUCCI 1851).
  7. Altare Maggiore, in marmo, al centro dell’abside, costruito nel 1878.
    Lo sovrasta quadro raffigurante San Leucio Vescovo, olio su tela di Ludovico Teodoro del 1779.
  8. Cappella di Maria SS. di Loreto
    Al centro antica statua in legno di Maria SS. di Loreto; a destra statua in cartapesta di Sant’Emidio, compatrono di Atessa; a sinistra statua in cartapesta di San Nicola di Bari.
    Lo storico Bartoletti tramanda che l’altare della Madonna di Loreto è stato realizzato nel 1757. La bella statuetta della Madonna di Loreto, in cartapesta modellata, dipinta e vetro si può ascrivere come opera di bottega abruzzese del XVIII secolo.
  9. Altare del SS. Crocifisso
    Crocifisso in legno di scuola napoletana del secolo XVIII.
  10. Altare di San Michele Arcangelo
    Lo sormonta il quadro, olio su tela , “San Michele Arcangelo combatte Satana”di Francesco Maria De Benedictis di Guardiagrele del 1854.
  11. Altare di Santa Lucia
    Il quadro, olio su tela, è stato eseguito dall’artista Ennio Bravo di Atessa del 1952.
  12. Altare di San Giuseppe
    Il quadro, olio su tela, rappresenta San Giuseppe e Gesù Bambino fanciullo, opera da riferirsi a maestranze abruzzesi del XIX secolo.
  13. Altare di San Bartolomeo Apostolo
    Dipinto, olio su tela , da riferirsi a manifattura abruzzese del XIX secolo.

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